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DOMANDE FREQUENTI SUI MATERIALI COMPOSITI

Cosa sono i materiali compositi?Leggi
Quali sono i materiali compositi?Leggi
Quali sono le caratteristiche dei materiali compositi?Leggi
A cosa servono i materiali compositi e in quali settori sono impiegati?Leggi
Come si riciclano i materiali compositi?Leggi

Cosa sono i materiali compositi?

Spiegare cosa sono i materiali compositi può avere diversi livelli di lettura. La definizione di materiale composito, infatti, può essere molto varia a seconda del contesto in cui viene formulata.

In ambito chimico, per esempio, si definisce composito “un materiale multicomponente comprendente domini di fase multipli, diversi (non gassosi) in cui almeno un tipo di dominio di fase è una fase continua” (IUPAC “Gold Book” 2019). In questa definizione, per esempio, potrebbe rientrare anche una sospensione costituita da liquidi non miscibili tra loro.

In ambito ingegneristico, tuttavia, si è ormai affermata la definizione di materiale composito (spesso abbreviato col nome comune di composito) come un materiale costituito da due o più materiali ingegneristici – non solubili l’uno nell’altro e ben distinti – con proprietà fisiche e/o chimiche significativamente diverse tra loro che, combinati assieme, generano un nuovo materiale con caratteristiche diverse da quelle dei singoli costituenti, solitamente destinato ad un particolare impiego (per esempio di tipo strutturale o per isolamento termico o elettrico). I singoli componenti sono sempre chiaramente distinguibili all’interno della struttura del materiale alla scala da 1 a 100 μm, differenziando così i compositi dalle miscele di diverse sostanze chimiche, dalle soluzioni solide (leghe metalliche o polimeriche), o dai materiali omogenei.

Il materiale composito può avere caratteristiche migliori non solo rispetto ai suoi costituenti, ma anche rispetto ai materiali da costruzione tradizionali come le leghe metalliche o i ceramici, per esempio una maggiore rigidezza, resistenza, leggerezza, durabilità o anche un minor costo.

I materiali compositi non includono il calcestruzzo ed il calcestruzzo armato, muratura, legno o legno compensato, espansi sintattici, ferro-acciaio laminato, bambù, laminati plastici decorativi e film multistrato.

Una particolare categoria di materiali compositi di interesse per le applicazioni ingegneristiche è quella dei cosiddetti “compositi rinforzati”, nei quali le proprietà della fase continua (detta anche “matrice”) sono migliorate da un forte legame con una fase dispersa rigida (detta “rinforzo”) che può avere natura e forme diverse. La forma di questi rinforzi può variare da fibra a piastrina fino a quella di particelle con dimensioni equiassiali; la più comune, tuttavia, è quella del rinforzo a forma di fibra.

Quali sono i materiali compositi?

I materiali compositi rinforzati più utilizzati nel campo delle applicazioni strutturali, che meglio rispondono al requisito per cui si genera un nuovo materiale con caratteristiche diverse da quelle dei singoli costituenti, sono i compositi aventi una matrice polimerica rinforzata con fibre ingegnerizzate sintetiche (come vetro, carbonio o arammide) o naturali (lino, canapa, ecc.). Questa classe di materiali è comunemente denominata con la sigla FRP (Fibre Reinforced Plastics) e la maggior parte dei prodotti – quasi il 90% del mercato europeo, se si escludono i compositi a matrice termoplastica con fibra corta stampati a iniezione – ha come matrice una resina poliestere insatura, come rinforzo la fibra di vetro ed è nota con il nome comune di “vetroresina”.

Nei compositi, tuttavia, vengono utilizzate molte combinazioni di resine e rinforzi e ogni materiale contribuisce alle proprietà uniche del prodotto finito: la fibra, resistente ma fragile e incoerente, fornisce elevate proprietà meccaniche mentre la resina, più flessibile e plasmabile, impartisce la forma all’oggetto, protegge le fibre stesse e contribuisce in maniera significativa alle proprietà a trazione, flessione e compressione.

Gli FRP possono contenere anche cariche minerali, additivi, modificanti o rivestimenti progettati per migliorare il processo di fabbricazione, l’aspetto e le prestazioni del prodotto finale. L’acronimo inglese utilizzato per definire i materiali compositi polimerici rinforzati con fibre (FRP) viene spesso declinato in diversi modi per specificare ulteriori caratteristiche del materiale: per esempio, spesso si utilizza un prefisso per identificare una specifica fibra di rinforzo, come la fibra di vetro (GFRP), la fibra di carbonio (CFRP) o la fibra arammidica (AFRP). Sono stati anche sviluppati altri acronimi il cui uso dipende dalla posizione geografica, dalla lingua o dall’uso sul mercato, come i compositi rinforzati con fibre (FRC), i polimeri rinforzati con vetro (GRP), i compositi a matrice polimerica (PMC) o compositi con fibre e polimeri (FPC).
Ognuno dei suddetti acronimi significa comunque la stessa cosa: materiali compositi polimerici rinforzati con fibre.

Quali sono le caratteristiche dei materiali compositi?

Per ottenere un materiale composito è sufficiente combinare tra loro almeno due materiali distinti. Di solito con “materiali compositi” si intendono quei materiali che possiedono le seguenti caratteristiche:

  • essere costituiti da 2 o più materiali (fasi) distinti con microstruttura riconoscibile nella scala da 1 a 100 micron;
  • almeno due delle fasi presenti abbiano proprietà fisiche “sufficientemente” diverse tra loro, in modo da impartire al composito proprietà diverse da quelle dei costituenti e non ottenibili da ciascuno di essi separatamente.

Materiali che non soddisfino entrambe le condizioni non saranno quindi da considerarsi strettamente appartenenti alla categoria dei materiali compositi.

La condizione affinché i compositi possano considerarsi “rinforzati” è invece espressa dalla condizione che le fibre abbiano almeno una proprietà meccanica (per esempio rigidezza e/o resistenza) “sufficientemente” maggiore rispetto a quelle della matrice.

Un criterio di massima può essere il seguente:

da cui si deduce per esempio che le fibre di vetro, di carbonio e arammidiche (tutte con modulo elastico E > 70 GPa) hanno caratteristiche meccaniche sufficientemente elevate per poter fungere da rinforzo per le matrici polimeriche (E < 5 GPa). Per quanto riguarda i valori di resistenza, σR, la situazione è assolutamente analoga: le fibre di rinforzo sopra citate hanno valori dell’ordine di qualche GPa, mentre per quanto riguarda le matrici polimeriche i valori sono sempre inferiori a 100 MPa.

Non tutte le fibre posseggono tuttavia le stesse proprietà: una fibra tessile di poliestere, per esempio, non può essere considerata un rinforzo, in quanto sia E che σR sono dello stesso ordine di grandezza di quelle delle resine impiegate per la fabbricazione dei compositi. Esse possono essere però utilmente impiegate, per esempio, per rinforzare una gomma, che ha un modulo elastico circa 1000 volte inferiore rispetto a quello dei polimeri vetrosi. Le fibre tendono in generale ad avere una resistenza maggiore rispetto a quella del corrispondente materiale in massa in quanto le ridotte dimensioni trasversali riducono l’entità dei difetti presenti. Se il processo di filatura è in grado di controllare anche la microstruttura del materiale – per esempio orientandola nella direzione della lunghezza della fibra – si possono osservare anche aumenti di modulo elastico rispetto a quello del materiale isotropo. Quest’ultimo effetto introduce però una differenza tra le proprietà in direzione della lunghezza e quelle in direzione trasversale (anisotropia) che deve essere tenuta in conto in fase di impiego delle fibre stesse.

Per ottenere una buona adesione tra fibra e matrice durante tutta la fase di utilizzo del materiale composito – caratteristica essenziale per sfruttare al meglio le proprietà meccaniche di matrice e rinforzo – le fibre vengono trattate superficialmente con agenti chimici chiamati “appretti” (sizing) che rivestono la superficie delle fibre con uno strato molto sottile di materiale di interfase. La presenza di questa interfase è essenziale ai fini di rendere compatibile la natura chimica dissimile delle fibre e della matrice e ottenere così una buona adesione tra le due. In generale è logico attendersi che le proprietà meccaniche dei compositi rinforzati dipendano in modo preponderante non solo dalle proprietà della fase dispersa, ma anche dalla sua quantità all’interno della matrice.

La seconda caratteristica importante del rinforzo è la sua orientazione: con la sola eccezione delle particelle equiassiali – che non hanno evidentemente una direzione prevalente – tutti gli altri tipi di rinforzo hanno la possibilità di essere orientati in una o più direzioni dello spazio all’interno della matrice, con conseguenze importanti sul comportamento meccanico del composito.
Non ci sono regole per assegnare gli assi di riferimento del corpo; tenendo conto però che buona parte delle strutture realizzate con i materiali compositi sono elementi “monodimensionali” in cui una direzione prevale sulle altre due oppure elementi “membranali” (per esempio le lamine) per i quali lo spessore è molto minore delle dimensioni nel piano, è consuetudine assegnare la direzione x alla dimensione maggiore (lunghezza), la direzione y alla dimensione trasversale (larghezza) e la direzione z allo spessore del corpo stesso. In questo modo il piano x-y corrisponde sempre al piano del pannello e la direzione z allo spessore del pannello stesso. In tutti i casi in cui le fibre siano disposte in un piano che contiene la direzione x, l’angolo di orientazione è per convenzione definito come l’angolo θ tra quest’ultima e la direzione 1 delle fibre. Gli angoli di orientazione possono in generale essere molteplici, in quanto generati per esempio dalla sovrapposizione di diversi strati di fibre: in questo caso, gli angoli vanno riportati nell’ordine esatto di stratificazione. Questo elenco è detto sequenza di laminazione.

A cosa servono i materiali compositi e in quali settori sono impiegati?

I settori in cui sono impiegati i materiali compositi sono così numerosi da spaziare trasversalmente in tutti i campi dell’industria e delle infrastrutture: per esempio motori, componenti di macchine, elettronica, edilizia, ferrovie, produzione e gestione di energia, serbatoi e tubi in pressione, strutture offshore, biomedicale, imbarcazioni e attrezzature sportive solo per citarne alcuni. Il motivo è da attribuire all’elevata efficienza strutturale di questi materiali, la cui struttura può essere facilmente adattata alle condizioni di sollecitazione ottimizzando così le proprietà rispetto alla massa (o al volume) del componente.

L’impiego dei materiali compositi può quindi ritenersi particolarmente vantaggioso in tutti quei casi in cui sono richieste elevate proprietà meccaniche (rigidezza e resistenza) associate a leggerezza, complessità di forma e/o durabilità in ambienti aggressivi. I materiali compositi, inoltre, si prestano facilmente alla sensorizzazione, per esempio mediante l’incorporazione di fibre ottiche o altri dispositivi di monitoraggio strutturale, e alla modulazione della risposta meccanica, termica ed elettrica grazie alle loro caratteristiche intrinseche o all’incorporazione di attuatori, rappresentando quindi l’ambito ideale per lo sviluppo di strutture “intelligenti” e/o funzionali.

I materiali compositi nell’aeronautica civile sono stati impiegati in percentuali sempre crescenti costantemente a partire dagli anni ’70, in sostituzione delle leghe di alluminio fino a diventare – in tempi più recenti – il materiale principale. I motivi di tale crescente impiego sono diversi. La maggiore efficienza strutturale rispetto all’alluminio consente ai velivoli di avere maggiore autonomia e ridotti consumi. L’intrinseca elevata resistenza a fatica legata alla microstruttura del materiale unita all’assenza di corrosione ne determinano anche una maggiore affidabilità e durabilità, riducendo in modo significativo il numero degli intervalli di manutenzione e di ispezione programmata a ulteriore favore dell’economicità di gestione dell’aereo.

In campo automobilistico, dove la produttività richiesta per i veicoli passeggeri è molto superiore a quella aeronautica, la principale innovazione degli ultimi anni è costituita dalle vetture elettriche BMW i3 e i7 commercializzate a partire dal 2013. Queste vetture sono costituite da due strutture primarie: il telaio, realizzato in alluminio, e l’abitacolo, realizzato interamente con compositi in fibra di carbonio; questa soluzione ha consentito un significativo risparmio di peso del veicolo ottenendo quindi un’autonomia largamente adeguata all’uso (più di 250 km con una singola carica). La produzione è attualmente pari a circa 100 vetture i3 al giorno, con un obiettivo massimo di 140: una produttività impensabile fino a qualche anno fa per componenti strutturali in materiale composito, resa possibile grazie all’impiego di catene di montaggio completamente robotizzate e all’uso di adesivi strutturali invece dei più tradizionali assemblaggi meccanici bullonati, saldati o rivettati.

Un altro esempio di realizzazione di strutture di grandi dimensioni con i materiali compositi è dato dalle pale eoliche.

Un’altra applicazione molto importante dei materiali compositi – anche in termini di volumi – è l’impiego di fasciature esterne per l’adeguamento sismico di opere civili abitative o infrastrutturali o per la riabilitazione strutturale delle stesse qualora vadano soggette a danno per eventi sismici o altre calamità. La tecnica consiste nell’applicazione di lamine di materiale composito su elementi strutturali esistenti come una sorta di “armatura esterna” che corregge e completa eventuali carenze della struttura stessa senza necessità di demolizioni o complessi e costosi interventi di applicazione di elementi metallici addizionali che hanno lo svantaggio di appesantire la struttura e di modificarne l’aspetto estetico. Il vantaggio prodotto dal contenimento di peso risulta particolarmente significativo proprio in considerazione del fatto che le sollecitazioni inerziali che l’edificio è chiamato a sopportare in caso di evento sismico risultano proporzionali alla sua massa. Altrettanto evidente è inoltre il tema della conservazione estetica degli edifici negli interventi di conservazione del patrimonio di valore storico e artistico. La flessibilità delle lamine consente inoltre facilmente di seguire profili e percorsi anche molto complessi direttamente in fase di applicazione, senza necessità di pre-formare i rinforzi prima della loro posa in opera.

Ormai da molti decenni, i materiali compositi sono i materiali principali per la costruzione di imbarcazioni da diporto e superyacht fino a oltre 60 metri di lunghezza, mentre in ambito militare sono stati realizzati scafi di lunghezza anche superiore a 80 metri. Le imbarcazioni a vela utilizzano anche altri elementi (come albero e boma) interamente in materiale composito: in questo caso non è raro osservare alberi alti più di 80 metri. Nonostante lo loro complessità, tutti questi elementi (scafi, alberi etc.) possono essere realizzati facendo uso di attrezzature relativamente semplici come per esempio stampi aperti attraverso i quali è possibile integrare strutture e relativi elementi di irrigidimento localizzati anche molto articolati e in grado di modulare il fattore di resistenza in funzione della presenza sia di carichi concentrati (elementi di sostegno dell’armo velico, attacco della deriva etc.) o distribuiti. Questa tecnica costruttiva, che rende rapida ed efficiente la realizzazione dello scafo e l’assemblaggio delle diverse parti, è probabilmente uno dei motivi principali che hanno reso i materiali compositi i materiali principali per la nautica. Gli altri motivi sono ovviamente la durabilità in ambiente marino (assenza di corrosione) e la loro tolleranza al danneggiamento.

Molte sono anche le applicazioni dei materiali compositi nello sport. Tutte le principali forme che caratterizzano gli attrezzi sportivi possono essere facilmente realizzate con l’impiego dei materiali compositi, grazie alle molteplici possibilità offerte dalla tecnologia di fabbricazione per laminazione:

  • strutture a piastra: sci, tavole da surf, windsurf e snowboard, doghe e longheroni alari, ecc.
  • strutture tubolari: racchette da tennis e badminton, canne da pesca, mazze da golf e da baseball, bastoni da hockey, aste per il salto in alto, alberi per barche a vela, telai di biciclette, ecc.
  • strutture a guscio: tutti i tipi di caschi, teste di mazze da golf, scafi, timoni e derive delle varie classi di imbarcazioni a vela, ecc.

Come si riciclano i materiali compositi?

I materiali compositi si riciclano ed esistono diverse possibilità di dismissione del bene attraverso una gestione circolare.
I materiali compositi si differenziano dagli altri materiali strutturali per la loro straordinaria combinazione di rigidezza, resistenza e leggerezza che permette di ridurre la massa facilitando le operazioni di trasporto e movimentazione, il montaggio, l’installazione e – nel caso di componenti in movimento come le turbine eoliche o le parti di veicoli – anche la richiesta di energia legata al funzionamento. Tutti questi vantaggi, uniti alla superiore durabilità del materiale nelle condizioni operative più comuni, individuano univocamente i vantaggi ambientali legati all’uso dei compositi:
– minor consumo energetico e minori emissioni di gas serra;
– maggiore durata dei componenti anche in assenza di manutenzione;
– migliori prestazioni e maggiore sicurezza.

I materiali compositi, oltre ad avere gli indubbi vantaggi sopra elencati in termini di durabilità ed efficienza dei prodotti nella loro fase d’uso, dispongono anche di numerose possibilità per una gestione circolare della fase di dismissione (end-of-life). La gerarchia promossa dall’Unione Europea per il trattamento del fine vita dei prodotti promuove infatti – prima di arrivare al riciclo vero e proprio – strategie di prevenzione, riparazione e riutilizzo che sono ideali per questi materiali: essi sono infatti riparabili, durevoli e mantengono a lungo le loro proprietà anche in presenza di ambienti aggressivi. Nel momento in cui queste strategie dovessero risultare praticabili o convenienti, il mercato offre comunque numerose possibilità di riciclo per i materiali compositi.

Ad oggi, le tecnologie principali per il trattamento dei rifiuti in materiali compositi che posseggono il grado più elevato di maturità tecnologica per i compositi a matrice termoindurente sono il co-processing nei cementifici, la macinazione meccanica e la pirolisi, mentre altri processi sono attualmente in fase di sviluppo.

Il co-processing nei cementifici, che utilizza gli scarti in composito rinforzato con fibre di vetro per la produzione del cemento, consente un utilizzo efficiente del materiale riducendo il consumo energetico del processo e abbattendo considerevolmente le emissioni di CO2.

La frammentazione con macinazione controllata è un processo efficiente dal punto di vista energetico e molto flessibile per flussi di materiale e per tipologie diverse. Si può ottenere in questo caso anche un parziale recupero delle proprietà intrinseche dei compositi: le applicazioni sono già molto numerose e vanno dai prodotti di arredo alle applicazioni industriali nelle quali il materiale riciclato può svolgere anche una funzione di rinforzo con benefici in termini di costi e impatto ambientale.

La pirolisi della resina, infine, presenta un impatto ambientale maggiore rispetto alle prime due alternative di processo ma consente di recuperare le fibre di rinforzo.

Altri processi di decomposizione della resina (solvolisi), seppur ancora in fase di sviluppo, permettono di recuperare anche alcuni componenti chimici organici derivati dalla decomposizione termica della resina che possono trovare applicazione nella produzione di nuovi compositi.

Esistono poi ulteriori processi anch’essi in fase di sviluppo che, pur avendo un grado di maturità tecnologica più basso, potranno aprire nuove frontiere per il recupero ad alto valore aggiunto (upcycling) dei materiali compositi, come quelli elettromeccanici (frammentazione a impulsi ad alta tensione). Sotto la spinta della ricerca e dell’innovazione si stanno infine rendendo disponibili sul mercato nuovi materiali compositi appositamente progettati per essere più facilmente riciclati a fine vita, come per esempio i compositi con matrici termoindurenti “cleavage” e/o a base di “vitrimeri” o compositi a matrice termoplastica ottenuti per stampaggio reattivo.

Informazioni più dettagliate su questo argomento sono riportate nel documento tecnico di supporto “Circolarità dei Materiali Compositi: una guida per neofiti”.

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